2.831 metri di quota. Apparentemente un numero come tanti. Vuoto, leggero, privo di storia e di significati. Ma ogni cifra va sviscerata e contestualizzata. Perché a volte, in montagna come nella vita, non è il valore assoluto a prevalere. Contano l’indole e la sostanza, la fisionomia e l’intelletto, il carattere e la personalità. Soltanto allora si può davvero conoscere lo spirito di una cima. E dietro alla straordinaria sagoma di Rocca la Meja, in effetti, non c’è una semplice asperità che supera i duemila e ottocento metri di altitudine.
C’è la regale fierezza di una montagna che sorveglia gli ondulati altopiani che si aprono tra le Valli Stura, Grana e Maira. C’è l’inconfutabile bellezza di una roccia che appare inafferrabile e altezzosa ma che poi sorride e abbassa la mano, invitando anche gli escursionisti esperti non ancora alpinisti a immergersi in un canalone che si invola verso l’alto violando l’intimità stessa della montagna. C’è soprattutto la pazienza di una diva d’alta quota che respira tra le braccia del vento lasciandosi accarezzare, fotografare e corteggiare in ogni giorno dell’anno.
“Il suo imponente aspetto è semplicemente meraviglioso; è raro infatti incontrare rupi e balze più audacemente rizzate, l’asse di sollevamento degli strati si può considerare come verticale, tanto che l’appariscenza maestosa e non scevra di grazia con cui quel monumento sorge fra le grandi cassere che ne fasciano il piede, quasi slanciato di getto, non può non lasciare una forte impressione e nel profano e nell’alpinista esperto”. Così Giovanni Bobba introduceva Rocca la Meja sul fascicolo 7 della Rivista Mensile del CAI del 1897, raccontando la sua prima ascensione avvenuta il 17 settembre del 1895 in compagnia di due ufficiali alpini.
Perché Rocca la Meja, in effetti, stupisce e disorienta per quella forza d’animo che rompe la monotonia di una piana gettando in alto sguardi, pensieri e parole. Una montagna che profuma di vera bellezza a cui non servono trucchi o vestiti. Nella diversità di ogni singolo versante, infatti, un’eguale eleganza di portamento, quasi ad avvalorare l’ipotesi toponomastica di “cima migliore e più bella” (secondo l’ipotesi più accreditata, in realtà, il toponimo deriverebbe dal provenzale mian e dal latino medianus nel significato di “posizione centrale o mediana”). Lo stesso Bobba, dopotutto, affermava che “Rocca la Meja è la fata che dà vita a tutta la vasta landa che si stende attorno al Nodo del Mulo e che senza di essa non sarebbe che un monotono deserto”.
Di sicuro Rocca la Meja riempie gli occhi, la testa e l’anima come un alito fresco che in piena estate rinfranca e rifocilla. In questi spazi, allora, le indicazioni escursionistiche per chi volesse vincere i suoi 2.831 metri di quota godendosi così lo straordinario panorama sulle vette circostanti (difficoltà F, con alcuni passi di II grado).