Un diamante di roccia che si staglia sullo spartiacque Maira–Varaita fino a graffiare il cielo con i suoi 3.064 metri di altitudine. Il Pelvo d’Elva sorride al piccolo borgo da cui prende il nome, ma stupisce e disorienta se scorto dal versante opposto. Perché dal Vallone di Bellino il Pelvo gonfia il petto fino a intimorire. Una piramide quasi perfetta che si eleva altissima sopra i boschi di conifere, come un gesto di stizza o un affronto alla conquista.
La prima ascensione ufficiale nel 1836 con alcuni cartografi dello Stato Maggiore Sardo agli ordini del Capitano Luigi Fecia di Cossato. Poi un apparente silenzio per qualche decennio, con il Pelvo conquistato e calpestato verosimilmente da pastori e agricoltori locali. Il 26 luglio del 1890, invece, la prima salita che profuma di celebrità con il reverendo americano William Augustus Brevoort Coolidge, accompagnato dalla fida guida alpina Christian Almer. Attratti dalla posizione isolata e dominante, i due raggiunsero la vetta del Pelvo dal versante nord-est, discendendo poi dalla parete orientale, da sempre una delle preferite dagli alpinisti.
Ma le montagne, spesso, uniscono nel tempo e nello spazio. Non importa il dove, importa il come. E così, se oggi i massicci nepalesi sono senza dubbio tra i più ambiti e agognati da alpinisti e appassionati europei, a fine Ottocento poteva avvenire l’esatto opposto. Come nel 1894, ad esempio, quando una comitiva guidata dall’esploratore inglese William Martin Conway raggiunse proprio la cima del Pelvo. Tra gli otto componenti della spedizione, anche due soldati Gurkha nepalesi: Karbir e Amar Sing.
Nel suo “The Alps from end to end”, Conway scrisse a proposito del Pelvo: “La vista era superba. Del resto si sa che è uno dei più bei panorami delle Alpi Meridionali. La pianura piemontese si estendeva ai nostri piedi con colori incredibilmente dolci. Restammo per un’ora a godere la bellezza del panorama”. Provare per credere, allora, seguendo le indicazioni escursionistiche riportate in questi spazi.