Quando il toponimo inganna: il fascino di Valdinferno

Una lingua di asfalto che dai margini di Garessio scappa via d’improvviso, perdendosi tra le viscere più selvagge delle Alpi di Liguri. Profumo di boschi, di natura, di montagna autentica che cattura l’avventore di passaggio ma che pare non faccia sconti a chi la abita ogni giorno. Dimore silenziose che si espandono sulla sinistra idrografica del Rio Parone. L’abbraccio dei faggi che si perde a poco a poco tra rocce e pascoli sfumanti verso il cielo. L’arrivo a Valdinferno affascina per l’ariosità inaspettata e i giochi di luce avvolgenti. Stupisce per un toponimo funereo apparentemente inspiegabile.

Conosciuta un tempo come Valle Ombrosa, l’attuale denominazione sarebbe da attribuire (secondo la leggenda) nientemeno che a Napoleone Bonaparte che transitando in loco diretto verso la Colla Bassa, venne sorpreso da una violenta bufera di neve che gli fece esclamare “Questa non è una Valle Ombrosa, ma una Valle d’Inferno!”. Soprassedendo ovviamente sull’attendibilità della leggenda, secondo alcuni il nome di Valdinferno sarebbe in realtà da ricondurre ai capricci meteorologici invernali della zona e soprattutto alle ataviche fatiche che i montanari di un tempo si trovarono ad affrontare.

Dapprima una scomoda lastricata che costringeva i mulattieri della frazione a ferrare le bestie almeno tre volte all’anno, quindi una sterrata più agevole realizzata a partire dal 1925. Un manto stradale livellato dalla fatica e dal sudore degli abitanti dell’epoca: 581 nel 1901, 564 dieci anni dopo, 419 ancora nel 1931, 305 nel 1951. I soldi per la prima vera strada diretta a Valdinferno stanziati soltanto agli inizi del 1954, stornando i fondi destinati a Cerisola. Fino ad allora, però, soltanto lacrime e morte. Come nel febbraio del 1915 quando una giovane trentacinquenne morì sotto i colpi del vento e della neve di ritorno dal mercato garessino, morsicata dal freddo e dall’assideramento.

Nel buio della fatica, però, anche la luce dell’eroismo, come in Maggiorino Campero che a dieci anni vinse il premio “Piccolo Montanaro 1957” per il coraggio mostrato durante la convalescenza della madre. Un eroismo che non è bastato ad evitare lo spopolamento frazionale, ma che sventola ancora oggi affinché l’esempio di ciò che è stato non si perda tra le braccia del vento.

Valdinferno, allora, per vivere il presente con più consapevolezza, librandosi sui pascoli e sulle rocce che salgono all’Antoroto e al Monte Grosso ovvero godendosi una pausa ristoratrice al Rifugio Silvietto.  L’importante è non lasciarsi intimorire, perché anche nei toponimi ogni tanto l’apparenza inganna.