Massiccia e spigolosa, fiera di indole e di carattere. Isolata e quasi indisponente per quel suo aspetto burbero, imprescindibile per chi si ritrova a sorvegliare un duplice confine. Già, perché quassù a 2.755 metri di quota l’orografia si fonde nella politica sotto gli schiaffi del vento. Le Alpi Liguri cambiano pelle, roccia e attitudine e si fanno Marittime. L’Italia e la Francia si cercano e si rincorrono prima di unirsi sotto una coperta di nuvole dal respiro internazionale.
Rocca dell’Abisso intercetta lo sguardo, stuzzica mani e piedi bramosi di poterla aggredire, accarezzare, vincere. Il primo a riuscirci fu il geologo Lorenzo Pareto nel 1832, seguito pochi anni dopo dal Capitano Luigi Fecia di Cossato. Ma Rocca dell’Abisso non si è mai concessa del tutto in realtà, continuando a celare angoli di personalità ancora inesplorati. A partire dall’etimologia, ad esempio, tutt’oggi discussa e dibattuta. Per molti il toponimo deriverebbe semplicemente dal latino “abissus” in relazione all’aspetto severo dei propri versanti. Per alcuni, invece, farebbe riferimento al francese “bise” a indicare un vento freddo di tramontana. Per altri ancora, viceversa, potrebbe riferirsi al vecchio appellativo “Bissa” (1826), interpretabile come “territorio ricco di serpi”.
Misteri e zone d’ombra che appartengono da sempre a Rocca dell’Abisso, custode non a caso di una tragica leggenda riportata da Felice Bosazza (Orofilo) nel libro “Da Genova a Nizza per le vette delle Alpi. Relazione di viaggio e breve guida topografica ai due versanti dei monti liguri occidentali” del 1895. Si narra infatti che in un modesto castello di Tenda vivesse Elvira, unica figlia di un barone, innamorata di un giovane e valoroso cavaliere di nome Alceste. Il matrimonio tra i due sembrava ormai cosa fatta, se non fosse che il padre della fanciulla impose al giovane di espletare un’unica terrificante prova: salire sull’allora inafferrabile Rocca dell’Abisso a raccogliere le stelle alpine per la corona nuziale di Elvira.
Alceste si diresse immediatamente verso quelle pareti inviolate, cogliendo i fiori richiesti in ogni angolo di roccia e di terra. Cadde, si ferì più volte ma continuò a cercare e a raccogliere, per tre giorni e tre notti. La ragazza, però, non vedendolo più tornare, decise di andare anch’essa in perlustrazione eludendo la sorveglianza paterna insieme a due scudieri. I tre giunsero alle pendici di Rocca dell’Abisso nel tardo pomeriggio, individuarono un possibile itinerario di ascesa alla vetta e cominciarono a percorrerlo. A metà cammino, però, vennero travolti da tuoni, vento, nebbia e pioggia, aizzati dagli spiriti maligni della montagna.
I due scudieri riuscirono a salvarsi raggiungendo la base della Rocca ormai in tarda serata. Elvira, invece, fu spinta per sempre nel ventre dell’Abisso da una terribile folata di vento, nel momento esatto in cui Alceste stava facendo ritorno al castello, esausto e ferito ma con in mano l’agognata corona di stelle alpine.
—
In questi spazi le indicazioni escursionistiche per raggiungere la Rocca dell’Abisso