Fausto Coppi al Colle della Maddalena: il giorno divenuto leggenda

10 giugno 1949. Stamattina a Cuneo l’alba non si trova, celata da un grigiore uniforme che profuma di nebbia e di autunno. La città prova comunque a svegliarsi, a ricercare conforto in quel Giro d’Italia da sempre foriero di sogni e di speranze. Gli stessi scalfitisi sotto gli orrori della guerra, gli stessi schiantatisi sulla collina di Superga trentasette giorni fa. Ma stamani ci sono Fausto Coppi e Gino Bartali ed è forse l’ora di librarsi sui pedali del mito.

Gli occhi dei corridori tradiscono un timore reverenziale per una tappa spaventosa: 254 km, da Cuneo a Pinerolo attraverso cinque colli (Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere). In maglia rosa c’è il velocista Adolfo Leoni che fin dalla partenza abbassa però lo sguardo in segno di resa. Su quelle pendenze, dopotutto, lui non può aggrapparsi neanche alla speranza. Alle sue spalle i due grandi rivali: Fausto Coppi, distanziato di pochi secondi, e Gino Bartali, che paga invece le fatiche delle Dolomiti.

Nell’aria una preoccupazione sacrificale che si impasta con quello strano grigiore estivo. D’improvviso una saetta, inaspettata, alle orecchie di Giovanni Tragella, allora direttore sportivo della Bianchi: “Fausto, cosa devo preparare per il rifornimento dei gregari?”. Qualche secondo di silenzio, in attesa del Campionissimo. Poi quella risposta folgorante dal valore apparentemente incomprensibile: “Pane, salame e…lanternino”. Già, perché a Pinerolo qualcuno arriverà davvero col buio, al termine della più grande impresa ciclistica che si ricordi.

Da Cuneo il plotone imbocca una Valle Stura silenziosa schiaffeggiata dal vento e dalla pioggia. In testa al gruppo si piazza Andrea Carrea, tra i gregari più fidati di Coppi. Sandrino, come erano soliti chiamarlo i compagni di squadra, impone un ritmo alto che comincia a sfilacciare il gruppo. Dopo una cinquantina di chilometri, però, Coppi avverte un problema alla catena ed è costretto a fermarsi. Una frazione di secondo sufficiente allo scalatore della Val d’Orcia Primo Volpi di allungare sulle rampe iniziali del Maddalena. Alle sue spalle si lancia Gino Bartali, in una silenziosa complicità agonistica.

Coppi come al solito osserva, respira e agisce. In prossimità di Argentera li raggiunge, li affianca, li supera, li stacca. Nella poltiglia della Maddalena, dove l’asfalto lascia spazio alla terra imbevuta di acqua, neve e sudore, Coppi scollina con 2’ 40’’ su Bartali. Mancano 192 km all’arrivo ed è ormai cominciata quella che in molti hanno definito come “la più grande impresa ciclistica di tutti i tempi”. Coppi giungerà a Pinerolo in totale solitudine dopo cinque forature. Alle sue spalle uno stremato Gino Bartali dopo 11’ 52’’, tre forature e due guasti al cambio. Per Coppi, ovviamente, tappa, maglia, corsa e storia soprattutto. Fotografica, sportiva e giornalistica. Due, in particolare, le testimonianze indimenticabili:

Centinaia di migliaia di italiani avrebbero pagato chissà quanto per essere lassù dove noi si era, per vedere quello che noi vedevamo. Per anni e anni – ce ne rendemmo conto – si sarebbe parlato a non finire di questo fatterello che non pareva di per sé niente di speciale, solamente un uomo in bicicletta che si allontanava dai suoi compagni di cammino” – Dino Buzzati.

Nella poltiglia del Maddalena, ho visto Coppi venire via dagli altri. Sfangava, quasi sollevando la bicicletta. Lo accompagnai fino a un paesino francese, mi pare Barcelonnette. Lo lasciai andare. Entrai in una trattoria. Ordinai un pasto completo, dagli hors d’oeuvre al caffè. Mangiai con tempi da buongustaio. Fumai una sigaretta. Chiesi il conto. Pagai. Uscii. Stava passando il sesto” – Pierre Chany, L’Equipe.